D’annunzio non si fece togliere due costole

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È successo a tutti, in tutte le scuole: quando si studia il Vate, D’Annunzio, c’è sempre qualcuno che tira fuori la leggenda metropolitana delle due ossa asportate dal torace per praticare l’autofellatio.

Recenti studi storici hanno dimostrato che questo non avvenne. Per due motivi. Primo perché, dal punto di vista medico, l’asportazione delle costole non consente l’auto-erotismo; anzi, potrebbe rivelarsi pericoloso per cuore e polmoni, protetti dalla cassa toracica. In ogni caso nessun medico, per quanto compiacente, avrebbe mai accettato di farlo.

Secondo, come riporta anche Focus, nessuna biografia di Gabriele D’Annunzio (tanto meno la migliore che ho letto, quella di Giordano Bruno Guerri) conferma questo bizzarro dettaglio.

Perché allora nacque questa leggenda? Semplice: era credibile il fatto che un personaggio noto per l’intensa attività erotica e per l’esaltazione letteraria del piacere sessuale si spingesse a tanto.

Lo stesso Vate disse: “Il falso e il vero son foglie alterne d’un ramoscello: il savio non discerne l’una dall’altra, l’un dall’altro lato”.

Il cavallo di Troia non era un cavallo (ma Troia era Troia)

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Da quanto tempo ci raccontano la storia del cavallo di Troia? Beh, il cavallo di Troia non era un cavallo, meno male che almeno Troia era Troia: lo sappiamo grazie alla scoperta del celebre archeologo Heinrich Schliemann. Ma torniamo al cavallo, che in realtà era una nave.

Facciamo un passo indietro. Recenti studi archeologici di Francesco Tiboni, ricercatore dell’Università di Aix-en-Provence e Marsiglia e archeologo navale, pubblicati sulla rivista “Archeologia Viva”, dimostrano che la leggendaria macchina da guerra usata dai greci per espugnare Troia non era un cavallo di legno bensì una nave di tipo fenicio con la polena a testa di cavallo chiamata “hippos”. L’inganno, sottolinea Tiboni, sarebbe più credibile, meno surreale.

In pratica stiamo parlando di un clamoroso errore di traduzione, come già capitato per la celebre frase biblica “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio” (Matteo 19,24): in realtà si parlava non di una cruna ma di una porta di Gerusalemme.

Del resto, come disse Lucilla Masini, “Chi cerca Troia (Ulisse)”.

L’Uomo vitruviano aveva un’ernia

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L’uomo vitruviano di Leonardo è universalmente riconosciuto come simbolo della centralità dell’uomo nell’Universo, ma anche come simbolo di bellezza e perfezione del corpo umano. Peccato che, a detta di Hutan Ashrafian (vedi articoli su Slate), docente di chirurgia all’Imperial College of London, c’è uno strano rigonfiamento all’altezza dell’inguine: quell’innaturale protuberanza poteva essere stata copiata da un cadavere, usato a modello, afflitto da ernia inguinale (problema che riguarda il 30% degli uomini e il 3% delle donne). L’ernia, sostiene Ashrafian, potrebbe essere stata la causa del decesso.

Ashrafian non è il solo a pensarla così. Jeffrey Young, direttore del University of Virginia’s Trauma Center, e Michael Rosen, direttore del Comprehensive Hernia Center at University Hospitals Case Medical Center gli danno manforte: “Se non era un’ernia, non abbiamo la più pallida idea di che cosa fosse”.

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Ashrafian non è l’unico ad aver fatto ipotesi guardando l’opera leonardesca. Benigni disse, parlando della crisi economica: “Ci hanno levato tutto, la moneta unica. Nel senso che c’è rimasta solo una moneta. L’uomo vitruviano, quello dietro all’euro, sta con le mani alzate e grida Nun ciò più nulla!”.

I lineamenti maschili sono stati forgiati a suon di pugni

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I nostri antenati sono stati presi a pugni talmente tanto da cambiarne i connotati. Per sempre. Secondo un recente studio dell’Università dello Utah le scazzottate preistoriche hanno contribuito all’evoluzione dei volti.

I tratti del viso si sarebbero evoluti per minimizzare i danni da colluttazione durante i combattimenti. Infatti, dicono i ricercatori, le ossa che subivano più fratture sono quelle che mostrano le maggiori differenze tra maschi e femmine, sia tra gli australopitechi sia tra di noi.

Insomma, molte delle caratteristiche facciali sarebbero il risultato della necessità di proteggere il volto dai pugni.

Non si può più dire “avere un visto che colpisce”. Ma che è stato colpito.

Perché le statue classiche ce l’hanno piccolo?

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Tutti, osservando le statue classiche, almeno una volta si saranno chiesti perché gli uomini scolpiti erano tutti, come dire…, sottodotati.

Alcuni hanno azzardato una spiegazione. Per esempio Ellen Oredsson del blog How to Talk About Art History spiega che “i valori culturali riguardo la bellezza maschile erano completamente differente allora. Oggi i peni grossi sono visti come un valore, non allora”. La storica Anna Tahinci scrisse nel 2008 un articolo per Sculpture Review dove spiegava che la nudità era rappresentata come ideale di innocenza e purezza. Inoltre  negli scritti di Aristotele si trova questa considerazione: un pene piccolo era migliore di uno più grande, in quanto “scientificamente”, nel secondo caso, lo sperma si raffredda, divenendo meno fecondo. I peni degli schiavi erano rappresentati con dimensioni generose per disprezzo. Solo con i romani le statue di divinità potevano avere peni grossi: è il caso di Priapo.

Le proporzioni perfette, insomma, erano riservate ad altri muscoli. Forse anche per aumentare l’autostima degli osservatori maschi (ed evitare la sindrome da spogliatoio).

Tutte le strade portano a Roma

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Nel corso dei secoli, l’Impero Romano costruì circa 80.000 chilometri di strade, dal Mediterraneo alla Gran Bretagna, dalla Turchia al Danubio fino alle coste dell’Africa. A detta dell’Encyclopaedia Brittanica, a conferma del celebre detto, tutte le strade portavano a Roma. Oggi, le vecchie strade sono state ammodernate anche se alcune antiche vie sono sopravvissute. Il detto è ancora vero? moovel lab, un team di designer tedesco ha la risposta. Hanno dimostrato, con un algoritmo e la rappresentazione grafica sopra riportata, che è ancora vero: oltre 500.000 strade portano alla Capitale.

Peccato che, una volta arrivati a Roma così agevolmente, si rimanga imbottigliati nel raccordo anulare.

La dieta dei templari

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Un recente studio di Francesco Franceschini del Policlinico Gemelli di Roma, pubblicato sulla rivista Digestive and Liver Disease, ha rivelato che i templari, oggetto di mille leggende e speculazioni, erano particolarmente longevi: una settantina d’anni contro una media del periodo tra i 25 e i 40 anni.

A quanto pare era tutto merito della loro dieta:

  • carne al massimo tre volte la settimana;
  • no cacciagione;
  • pesce (allevato da loro);
  • verdure;
  • legumi;
  • vino di palma con polpa di canapa e aloe vera;
  • acqua disinfettata con uso di agrumi.

Pochi grassi e poco alcol, molta igiene in tavola, cibo controllato: ecco il sagro Graal della longevità.

Si videro i liocorni!

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Un articolo pubblicato recentemente parla dell’unicorno siberiano (Elasmotherium sibiricum) dopo uno studio condotto dai ricercatori della Tomsk State University. Contrariamente a quanto si pensava finora, gli unicorni non si estinsero 350.000 anni fa: l’ultimo esemplare si palesò 29.000 anni fa in Kazakistan. Quindi potrebbe aver incontrato l’uomo, contraddicendo il celebre verso “solo non si vedono i due liocorni”.

Le scoregge dei dinosauri causarono il riscaldamento globale

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Dave Wilkinson, ricercatore dell’Università di Liverpool, ha fatto una rivelazione clamorosa di portata storica, anzi preistorica: le scoregge dei dinosauri sarebbero tra i maggiori responsabili del riscaldamento climatico che colpì il nostro pianeta 150 milioni di anni fa.

La ricerca, pubblicata sulla rivista americana Current Biology, accusa le flatulenze dei dinosauri sauropodi di aver prodotto una quantità tale di metano da influire sull’equilibrio climatico della Terra. Peggio di quanto stiamo facendo noi umani al giorno d’oggi (come emissioni in generale…). Lo studio è molto preciso: si calcola che l’attività intestinale dei dinosauri avrebbe prodotto fino a 520 milioni di tonnellate di metano.

Qualcuno parla ancora di estinzione dei dinosauri a causa di un meteorite. E se la colpa fosse del meteorismo?

 

Hitler aveva il pene piccolo e un testicolo solo

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Adolf Hitler, secondo il suo medico personale, era depresso e sessodipendente. Ora possiamo anche sapere perché un sessodipendente era depresso: perché aveva il pene piccolo (soffriva di ipospadia)!

A rivelarlo uno studio di due storici (Jonathan Mayo e Emma Craigie). Si scopre inoltre che il fuhrer aveva anche un testicolo deforme (tecnicamente si parla di “criptorchidismo nella parte destra”, la mancata discesa di un testicolo nel sacco scrotale). In effetti durante gli anni della guerra in Inghilterra si cantava la canzone “Hitler has only got one ball”.