I social e la paura di perdersi qualcosa

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Come ho scritto nel mio “Non mi piace. Il contromanuale di Facebook” (scusate l’autocitazione), F.O.M.O. non è il nome di un cibo biologico o di un lottatore giapponese. È una sindrome: la paura di perdersi qualcosa (fear of missing out), di essere tagliati fuori. Si concretizza nel pensiero costante che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che stiamo facendo noi: tutti si divertono alla grande, noi ci annoiamo; tutti hanno partecipato alla festa dell’anno, mentre noi eravamo a casa davanti alla tivvù. Il fatto che gli altri pensino lo stesso è irrilevante.

Anche se è sempre esistita, la sindrome viene ora amplificata dai social network: temiamo che su Facebook stiano facendo qualcosa di estremamente interessante, e non possiamo certo perderlo. I livelli di FOMO, come rilavano recenti studi scientifici, sono più alti nelle persone giovani e in particolare negli individui di sesso maschile. Come i brufoli, in pratica.

I grammar-nazi sono insopportabili

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I grammar-nazi, gli ossessionati dalla grammatica che circolano con ideali penne rosse (soprattutto sui social) sono, a detta del sociologo Julie E. Boland e del linguista Robin Queen, meno gentili con il prossimo.

Il recente studio, pubblicato su Plos One, si è basato su un semplice esperimento: ad alcuni volontari sono state inviate delle e-mail, alcune con errori grammaticali, altre con errori di battitura e altre ancora senza errori. Dopo aver studiato le loro reazioni, si è giunti a questa conclusione: le persone meno gentili sono meno tolleranti riguardo alla deviazione dalla convenzione. Le persone più estroverse sono state in grado di trascurare gli errori scritti, quelle più introverse, invece, hanno giudicato negativamente le e-mail con errori.

Michel de Montaigne diceva: “La maggior parte dei problemi del mondo sono dovuti a questioni di grammatica”. Anche sui social vale la stessa regola.

Abbocchiamo al clic-bait perché siamo emotivi e pigri

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Alcuni scienziati si sono presi la briga di spiegarci perché facciamo clic sui titoli acchiappa-clic che si trovano sui social network. Il fenomeno, comunemente conosciuto come clic-baiting, consiste nell’usare alcune tecniche per introdurre solo in parte un argomento, per stuzzicare la curiosità, o fuorviare il lettore.
Tipici esempi sono i post con titolo “Grave malattia di Al Bano”, per poi scoprire che si trattava di psoriasi, “Grave lutto per l’attaccante della Roma”, quando gli era morto il gatto, o – qui andiamo sul sublime – il titolo “Evasione dal carcere di Stasi”: l’evaso era un altro e Stasi c’entrava solo in quanto ospitato nello stesso carcere.

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Entrando nel dettaglio, la spiegazione del perché ci caschiamo arriva dalle scienze comportamentali. Secondo un recente studio, sono due i motivi per cui si fa clic su un titolo esagerato o fuorviante: le emozioni prevaricano il proprio intuitivo buonsenso e la pigrizia cerebrale.

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